La Suprema Corte obbliga la testata giornalistica a cancellare o aggiornare la notizia a seguito di richiesta dell’interessato (Cass. civile, sentenza n. 6806/2023)
Il termine oblio deriva dal latino oblivium, costituito da ob (verso) e dalla radice liv (scolorire, divenire oscuro); sostanzialmente indica un fenomeno in base al quale la traccia dei ricordi si frammenta, fino alla loro completa perdita. Potremmo, infatti, dire che sia un sinonimo del termine “dimenticanza”.
In ambito giuridico, comunemente conosciuto è il diritto ad essere “dimenticati”, ossia a non essere più ricordati dall’opinione pubblica, per fatti che in passato sono stati oggetto di cronaca.
Esso è espressione del diritto alla riservatezza (o privacy), inteso come il diritto di ottenere la cancellazione dei propri dati personali che sono stati resi pubblici (Cass. civ., Sez. III, 09/04/1998, n. 3679).
Il diritto all’oblio, applicato all’attuale era digitale, consiste nella rimozione dei documenti e dei link che rimandano a un contenuto online che un soggetto ritiene dannoso.
Con la sentenza n. 6806/2023, la Suprema Corte di Cassazione sancisce un principio secondo cui la testata giornalistica ha l’obbligo di cancellazione/aggiornamento della notizia, solo dopo la richiesta dell’interessato.